Al Perpetuo Crepuscolo
Società dell’Informazione
tra propaganda e meme

24, 25, 26 Ottobre ⎯
6 Dicembre 2022

Alessandro Lolli

Bio

Alessandro Lolli è nato a Roma nel 1989. È laureato in filosofia e lavora come copywriter. Suoi scritti sono apparsi su Il Tascabile, Not, Prismo, Pixarthinking, VICE, L’Indiscreto e altri. È autore del saggio “La guerra dei meme” (Effequ, 2017, 2020), coautore di “Guida all’immaginario nerd” (Odoya, 2019) e presente nella raccolta di saggi “The Game: Unplugged” (Einaudi, 2019). Si interessa della mutazione antropologica in corso, quella che passa attraverso gli schermi luminosi che portiamo in tasca e che sta ridefinendo radicalmente cosa vuol dire essere umani.
Download PDF

Che cos’è un meme. Breve storia di uno scherzo infinito

Questo intervento affronterà il tema del meme da diverse angolazioni. Inizieremo con una prospettiva semiotica per comprendere cosa si intende esattamente per meme. Successivamente, esploreremo il contesto storico, analizzando le sue origini e le sottoculture da cui è emerso, insieme alle comunità che hanno contribuito a plasmarlo nella forma che conosciamo oggi. Infine, ci concentreremo sull’aspetto politico, esaminando in che modo la politica abbia sfruttato questa forma di comunicazione. Tra i tanti esempi di meme conosciuti può esserci il Communist Bugs Bunny, un meme famoso che tutti possono comprendere. Communist Bugs Bunny. Anche questo è un meme, che è invece molto differente. In questo intervento indagheremo la distanza tra questi due meme: cosa rende due immagini così diverse parte dello stesso oggetto semiotico. Una prima definizione, che ho dato nel mio libro “La guerra di meme”, recita: “un contenuto virale che non mira solo a riprodursi, ma chiede di essere reinventato”. Void Trollface. Tenendo in conto che per riuscire a descrivere un oggetto semiotico bisogna riuscire a capire cosa lo distingue da ciò che gli somiglia, ma che non lo è. Nel contesto visuale online bisogna quindi partire distinguendo le varie tipologie di immagini, che possono essere, ad esempio, meme e contenuti virali. Questa fotografia risale al primo lockdown del 2020, guadagnando una grande fama in breve tempo. Questa può essere la definizione minima di contenuto virale che non riguarda i contenuti virali in generale, non solo quelli digitali: tormentoni musicali, notizie e tutto ciò che si diffonde in brevissimo tempo. Fotografia del Comune di Rimini, 2020. Tale tipologia di contenuto si diffonde sempre nello stesso modo: è sempre la stessa immagine che porta con sé un senso, un significato. In questo caso c’erano molteplici sensi, e tutti venivano ben descritti da questa foto. Creiamo una cornice: era una foto dell’account ufficiale del Comune di Rimini che inquadrava due agenti di polizia che si avvicinano a una persona che sta prendendo il sole sulla spiaggia da sola, in un ambiente che sembra desertico. Ciò sintetizzava diversi malumori e critiche rispetto alla gestione della pandemia. Era una fotografia che aveva un significato preciso, e con questo si è riprodotta nei primi tempi, online come in televisione. Un contenuto virale, tra l’altro, è anche compatibile con i media tradizionali – quelli topdown in cui non c’è un’interazione con il fruitore, ma che semplicemente diffondono dei contenuti. Questa poteva essere un’immagine “pre-internet” diffusa sui giornali o dalla televisione. La sua peculiarità sta nel suo modo di diffusione online: è diventata qualcos’altro immediatamente e si è spinta oltre il semplice contenuto virale, trasformandosi in una base meme. Guardiamo queste due immagini: una è un fotomontaggio dell’album dell’artista iosonouncane che sembrava avere gli stessi colori della foto originale. Meme della fotografia del Comune di Rimini, 2020. L’altra è un meme creato per una comunicazione di marketing che, ancora oggi, comprende una grossa parte di meme. Meme creato per il marketing di Uno, 2020. Alcune aziende infatti investono in una forma di comunicazione “bassa” e scherzosa, utilizzando immagini virali come base meme. Di conseguenza, questa immagine non parla più solamente di se stessa, diventa cornice e canovaccio per raccontare altre storie. Il gioco Uno non sta parlando dello stato di polizia, della pandemia o del Comune di Rimini. In questa scena sta parlando di una tipica battuta del gioco, allontanandosi di molto rispetto a ciò da cui eravamo partiti. Il meme, inoltre, allude o presuppone la serie: quando vedo per la prima volta che qualcuno utilizza questa immagine e ne crea un meme, comprendo che questa è una base meme potenzialmente infinita. Comprendo anche che è stata codificata, ovvero che l’immagine diviene cornice memetica e il resto sono le punchline; è interattivo. Questo è il dato fondamentale del motivo per cui un meme non è neanche pensabile nel contesto dei media tradizionali topdown: il meme presuppone la figura del prosumer, cioè dell’utente che allo stesso tempo è un produttore e un consumatore di contenuti, figlio dell’Internet 2.0. Anche se il concetto di media interattivi esiste già dal Novecento, vedremo che solamente l’Internet degli ultimi vent’anni ha portato l’innovazione tecnologica tale perché questo sogno diventasse una realtà di massa. Analizziamo la struttura del meme. Possiamo vedere come un meme “base”, quello più intuitivo e paradigmatico, abbia una struttura binaria formata dalla cornice memetica, chiamata anche format o base meme, e dalla battuta o punchline. Esiste una struttura narrativa, un canovaccio che si può riempire in qualsiasi modo. Appena vediamo un meme lo cogliamo in quanto meme, perché ne possiamo cogliere la potenzialità della serie: è questa caratteristica che lo distingue dal contenuto virale. Questa struttura binaria, nella maggioranza dei meme — quelli che comprendono tutti, meme che usano i politici, meme che usa il marketing — è assolutamente visibile. Nel tempo, il progresso memetico è diventato quello che ho chiamato “scherzo infinito”: il gioco semiotico può diventare stratificato e sempre più complesso, evadendo la struttura binaria semplice e intuitiva e fondarsi su se stesso. Questo è un altro meme molto famoso che si chiama Distracted Boyfriend. Stock-photo di Distracted Boyfriend. Come possiamo vedere, non tutti i meme nascono da contenuti virali. Alcuni nascono da contenuti qualsiasi: in questo caso da fotografie stock, ossia immagini di agenzia scattate da fotografi professionisti, il contrario della viralità e della notorietà. Eppure, il meme può installarsi su ogni tipo di contenuto visivo o narrativo. Esiste quindi un’importante distinzione: non tutti i contenuti virali diventano meme, ma neanche tutti i meme sono fondati su contenuti virali. Distracted Boyfriend è un’immagine che descrive una determinata situazione, un triangolo amoroso, una situazione della “gelosia-tipo”. Un utente online ha deciso di sovrapporci delle etichette di testo. Meme base Distracted Boyfriend. Descrive la struttura-tipo del meme in cui è facilmente riconoscibile il canovaccio — in questo caso freudiano, con un Io che ha una tentazione e un Super Io che lo giudica. Nella forma base del meme il Super Io è la sua fidanzata, e la “tentazione” è un’altra ragazza che vede passare per strada. Ma se sovrapponiamo delle etichette su questi attori, questi possono diventare tutt’altro. Questo è il meme standard, di cui comprendiamo il significato, il suo funzionamento e intuiamo la ripetibilità. Tuttavia, questo tipo di gioco dopo un po’ annoia, dura poco: sin dall’inizio della storia dei meme, dopo un certo lasso di tempo i meme stessi sono diventati materiale per fondare altri giochi memetici, e sono quelli che io chiamo meme riflessivi. Distinguere un meme riflessivo da un meme non riflessivo è semplice: se io non avessi visto il meme di prima, il meme base che mi racconta una storia comprensibile a tutti, non capirei questo fotomontaggio di Matrix. Meme riflessivo Distracted Boyfriend. Questo fotomontaggio fa ridere semplicemente e solamente se abbiamo già visto Distracted Boyfriend in forma non riflessiva e standard. Solo in questo caso ciò che era solo una cornice narrativa diventa contenuto, che è anche modificabile perché nella cultura online si può comprende. Ciò che diverte è il parallelismo con una famosa scena di Matrix in cui al posto della donna c’è l’agente Smith. Ci possono essere innumerevoli altri esempi di meme riflessivi, i quali. Dopo aver postato il meme di Communist Bugs Bunny, anche una pagina normalona come @PastoriziaNeverDies, può permettersi di alludere a quel meme senza neanche ripresentarlo integralmente. Possiamo sostituire il soggetto con Mark Zuckerberg in una posa simile e poiché conosciamo la cornice memetica capiamo che questo è invece un meme riflessivo di secondo livello. Communist Bugs Bunny e Zuckerberg a confronto. Se vedessimo solo il meme riflessivo per la prima volta non capiremmo perché Zuckerberg ha la falce e martello. Potremmo comprendere la battuta ma perderemmo il riferimento al meme meta-ironico — ossia che si riferisce a diversi livelli di ironia. Questo gioco può diventare complesso. Four Stages of Simulation, versione complessa di Expanding Brain. Questo è uno uno di quei tentativi di far esplodere un’intera generazione memetica, quella della fine degli anni dieci, in un unico meme. In questa immagine divisa in tre parti, all’estrema destra abbiamo delle citazioni del filosofo francese Jean Baudrillard che parla del concetto di segno, associato al meme Expanding Brain, a sua volta associato a tutta un’altra serie di meme molto semplici che si richiamano a vicenda. Penso che nessuno sappia davvero cosa questo meme volesse dire: è un tentativo di esplosione semiotica per far capire dove questo gioco di costruzioni, e layer può arrivare. Possiamo definire questa come la struttura semiotica del meme. Per comprendere come si è arrivati a questo livello di complessità, e cosa si intende davvero per normies o normaloni, bisogna analizzare il quadro storico: il meme non è nato nel vuoto, bensì in un tempo e luogo ben precisi. Parliamo dell’inizio degli anni duemila, di una community composta principalmente da giovani maschi, principalmente anglofoni e nerd. Queste persone si sono ritrovate su un particolare sito web, una delle prime image board chiamata 4chan, da cui nascono i primissimi meme formalmente tali. Parleremo di “rivoluzione tecnologica” e “rivoluzione estetica”, perché sosterremo la tesi, che parte dal materialismo dialettico, per la quale ogni rivoluzione culturale può essere resa possibile solamente se vi è un’infrastruttura materiale che la appoggia. La rivoluzione tecnologica del meme è ciò che chiamiamo Internet 2.0., ovvero l’Internet del prosumer pienamente realizzato. Negli anni novanta si poteva già essere un prosumer. C’erano diversi siti web personali in cui la gente parlava della propria vita: generalmente contenuti personali pensati per rimanere nella propria community. L’internet 2.0 rivoluziona tutto con la nascita delle cosiddette piattaforme che aggregano contenuti, prima con i forum, poi con i social network — 4chan, nato in questi anni, è infatti un tipo particolare di forum. In questo contesto dobbiamo inoltre guardare la rivoluzione infrastrutturale in atto. Alla fine degli anni novanta, anche solo scaricare un’immagine poteva diventare difficoltoso: essere un prosumer era proibitivo. Negli anni duemila, grazie alla banda larga si diffonde una maggiore velocità di upload e download. Inoltre, gli editor di immagini diventano interattivi, di conseguenza anche la capacità tecnica di modificare un elemento, come un meme, diventa alla portata di tutti - nascono addirittura i primi meme generator. Tutti questi dati materiali, la diffusione di competenze e di un’infrastruttura capillare permettono effettivamente di intervenire su dei contenuti anche ricondividendoli. Solo allora, il meme prende il suo appuntamento con la storia. 4chan era anche un tipo di forum particolare che interveniva ed estremizzava una caratteristica del primo internet che oggi può sembrare assurda, ossia quella dell’anonimato. Oggi abbiamo tutti nome e cognome su Facebook e mettiamo le nostre foto ovunque su Instagram e su Tik Tok senza alcun problema; nessuno pensa che avere la propria immagine online sia qualcosa di strano. Nel primo Internet era invece un tabù fortissimo, e lo è stato almeno fino alla rivoluzione in cui Zuckerberg convince milioni di persone che possiamo utilizzare il nostro vero nome online. Nel primo internet c’era un anonimato per tutti, c’era un insieme di paure irrazionali per cui Internet era un luogo in cui vigeva un un certo tipo di anonimato, quello del soprannome e del nickname. 4chan fa qualcosa di ulteriore. Generalmente, nel primo internet in un qualsiasi forum esiste comunque un rapporto uno-a-uno. Posso essere “Alessandro” nella vita reale e sono questo nickname nella mia vita virtuale. La nostra vita si sdoppia attraverso un’altra personalità, un’altra reputazione, un altro Io. 4chan, invece, era contro l’Io, era per la distruzione dell’Ego e quindi per l’anonimato radicale. Vuol dire che quando entriamo su quel forum ci chiamiamo Anonymous e siamo identificati da un codice durante la discussione presente. Non costruiamo, o meglio, possiamo farlo ma nessuno lo fa. Di conseguenza, l’anonimato di 4chan è l’anonimato più radicale che si possa pensare, perché ognuno di noi entra come pura voce in una community. Tra i possibili tipi di anonimato, ce n’è un altro tilizzato che anche alcuni gruppi politici tra gli anni novanta e gli anni duemila, ovvero quello del “nome collettivo” in cui c’è un’unica identità collettiva, di cui in teoria non si sa quante e quali persone la incarichino. E proprio 4chan ne ha prodotta una che si chiama, appunto, Anonymous. È la sua prima creatura politica, ed è sorprendentemente di sinistra: tutta la fama di 4chan come sito di estrema destra e Alt-Right deriva infatti da una sua seconda fase. Tornando a rivoluzioni tecnologiche e infrastrutturali, possiamo dire come nel primo Internet c’era una filiera memetica molto chiara in cui i meme comparivano sulle image board come Something Awful e 4chan, in community di nerd molto ristrette. La filiera memetica era poi aggregata da siti umoristici di diffusione come 9gag, mentre quando sono nati i social network si è diffusa anche su altre piattaforme, considerate un po’ il luogo vero e proprio dei normaloni. Per tutta la prima fase dei social network, i meme di Facebook e di Twitter avevano una fama di meme “arrivati dopo” che la sottocultura li aveva prodotti e utilizzati, dove perdevano ogni senso di esistere. Oggi, però, non è più così. L’idea della vecchia filiera memetica che ancora tanti vecchi memer coltivano non ha più alcun riscontro con la realtà: viviamo in un ecosistema memetico puro, in cui tutte le le piattaforme — non solo 4chan o Something Awful, ma lo stesso Facebook, Instagram, Tik Tok — creano contenuti. Le persone sono sparse su tutte queste piattaforme e non esiste più quel processo di normificazione del meme come tanti ancora oggi credono. È doveroso ora operare delle differenze sulla sottocultura dei normaloni e quelle a loro contrapposte. Da un lato abbiamo i normaloni o normie, dall’altro gli autistici, un vecchio nome che loro si davano, oggi in disuso. Il termine autistici stava a significare un’estrema fissazione e concentrazione su una serie di argomenti molto precisi, che le persone comuni non condividono, assieme a una scarsa capacità sociale nelle relazioni sociali. Perché, appunto, la prima community di memer era una community di nerd, ossia di persone che avevano creato la loro sottocultura su Internet e i meme erano la loro propria forma di espressione generazionale. Tale espressione si contrappone totalmente al “mondo fuori”, a tutti i loro coetanei normie. Questi erano normie in due sensi: perché non capivano i loro contenuti, ma non li capivano proprio perché erano proprio erano troppo “normali”. I normie avevano una vita offline, non erano su Internet a seguire tutte le evoluzioni di queste forme di linguaggi di nicchia. I normie sono però anche gli utilizzatori finali del giochetto degli autistici: vedono il meme e lo normalizzano, rendendolo sempre più banale. Lo usano e ne abusano fino allo sfinimento. Quindi sono anche poser: sono i traghettatori che sottraggono il giochino che prima conosceva solo i nerd, che diventa il classico meme di @PastoriziaNeverDies. Questa dicotomia è culturale e antropologica, un vero e proprio conflitto che alcuni sentono ancora verso la società. L’accademica irlandese Angela Nagle è tra le studiose che meglio si è occupata della culture war degli anni dieci. Il suo libro in lingua originale si chiama appunto Kill All Normies, letteralmente traducibile con Uccidiamo tutti i normaloni e che invece in Italia è stato pubblicato con il titolo Contro la vostra realtà. Come l’estremismo del web è diventato mainstream dalla Luiss University Press — un titolo forse un po’ lontano dal suo significato originale. Nel suo libro parla di come gli autistici di 4chan, i primi a creare i meme, siano diventati famosi nel mainstream per far parte di una specie di sottocultura politica, oltre che culturale. Questa volta si tratta dell’Alt-Right, ossia destra alternativa. “Alternativa” non a un’altra destra, ma alternativa nel senso fine a se stesso del termine, cioè trasgressiva. Questa è un’immagine che si può definire come il battesimo mainstream della potenza dell’Alt-Right nel mondo reale. Tweet di Donald Trump che ha fatto diventare Pepe the Frog simbolo dell’Alt-Right, 2015. Tornando alla questione politica, abbiamo anticipato che nonostante ciò che diventerà in seguito, la prima creatura politica vera e propria di 4chan fu una creatura di sinistra. Quel movimento ha addirittura reso virale la maschera di Guy Fawkes — noto per il film V per vendetta — nella protesta di Occupy Wall Street, nel 2011. È stata quindi una sottocultura virtuale importante che è riuscita a creare un simbolo in una protesta reale durata mesi e mesi al centro di New York. Il nome di Anonymous è il simbolo di quell’anonimato radicale che 4chan ha introdotto. Anonymous perde però molto presto la sua carica di sinistra. Quella trasgressione che faceva comunque parte della community memetica si è scontrata con una nuova sensibilità, tipica degli anni dieci, che tuttora abbiamo riguardo ai diritti LGBTQ+, l’anti-razzismo — che negli Stati Uniti stava diventando il centro del dibattito culturale. Di conseguenza quelli che prima erano dei ragazzacci che scherzavano un po’ su tutto e si auto-percepivano come dei nichilisti puri hanno scoperto che invece molti di loro erano in parte razzisti e omofobi, perché, guarda caso, odiavano più alcune persone che altre. E quindi qui nasce la culture war che soggettivizza l’Alt-Right: tutta quella temperie culturale antropologica presente su 4chan si radicalizza sostenendo sempre di più idee di destra. Tutto partendo dal meme, da uno scherzo. È poi ripresa da attori più o meno istituzionalizzati, come siti web d’informazione, personalità importanti — come Jordan Peterson, Ben Shapiro, Milo Yiannopoulos — e si diffonde anche nei media mainstream. Si crea anche un una vera e propria ideologia, la man-o-sphere, che ha come centro una scena di Matrix: la scena della pillola rossa. Questa pillola rossa è diretta proprio a quel gruppo antropologico che ha fondato 4chan, cioè ai giovani maschi un po’ “sfigati”. La Red Pill sostiene che la rappresentazione del mondo della Blue Pill in cui le minoranze oppresse sono le donne, le persone non bianche, le persone con orientamento sessuale non-etero sia falso. La persona veramente oppressa da questo mondo — sostiene la teoria Red Pill — sei tu, giovane, bianco, sfigato, che non riesci a ricoprire il tuo vero ruolo di oppressore e di protagonista della vita sociale e devi prendere la Red Pill per renderti conto che in realtà tu sei il “vero ultimo”. Da qui nascono tutti i movimenti che conosciamo oggi, come gli incel, i men’s rights activists, i pick-up parties. Questi ultimi sono quelli che ti insegnano a rimorchiare; oggi in Italia sono arrivati nel mainstream con Playlover Academy, che ha fondato anche sull’autoironia meme dei loro corsi la loro fama attuale. E infine c’è l’ultima creatura politica di 4chan, QAnon. Questa è una overview della culture war per come si presentava negli anni dieci, in cui c’erano delle piattaforme che erano schierate con la Red Pill e l’Alt-Right e delle piattaforme che erano schierate con la Blue Pill, prima Tumblr e adesso Twitter (n.d.r. prima dell’acquisto da parte di Elon Musk) e in parte Instagram. Nei primi anni della culture war negli Stati Uniti le parole chiave dei dibattiti su argomenti progressisti non avevano spazio in TV e nei media mainstream, bensì nascevano su Internet. Angela Nagle dice che queste “sono state delle palestre politiche per un’intera generazione” e che hanno poi influenzato a cascata il dibattito del mainstream. Se guardiamo di cosa si discuteva nel 2012 sulle persone “terminalmente online” — cioè separate dalla vita comune, che si interessano di argomenti conosciuti solo da una nicchia — ci rendiamo conto di come questi dibattiti siano tuttora parte della culture war. Il ministro della Cultura del governo Meloni ha dichiarato che il suo intero ministero sarà votato alla lotta al “politicamente corretto”. Un termine che in Italia vent’anni fa voleva dire esattamente l’opposto di quello che vuole dire oggi: era una cosa che la sinistra diceva ai perbenisti di destra; oggi è una cosa che la destra dice sui perbenisti di sinistra. Il concetto di “politicamente corretto” è un esempio della rilevanza derivante da questa tipologia di community. Tale dibattito ha portato un singolo meme ad acquisire diverse identità culturali e politiche. Nello specifico, parliamo di come un’immagine sia diventata il simbolo dell’Alt-Right, a partire dalla pagina di un ex-presidente degli Stati Uniti: Pepe the Frog. L’immagine più comune di Pepe è una rana verde. Pepe the Frog. Nasce come un webcomic nel 2005 del fumettista Matt Furie, che disegna degli animali antropomorfi. Webcomic Boy’s Club #1, Matt Furie, 2005 Furie si identifica come un libertario di sinistra, quindi non aveva alcunché di omofobo o nazista, nessuna di quelle connotazioni che poi Pepe assumerà: era un un personaggio “positivo”. Questa “simpatia” del suo design lo rende il simbolo di 4chan, una sorta di Über-meme, ossia non più una semplice base meme per esprimere una serie di narrazioni di opinioni, ma diventa esso stesso un personaggio, una maschera. Pepe vive la sua vita da meme underground come simbolo di 4chan fino all’arrivo dei social media, quando finisce nel mainstream. Due cantanti statunitensi, Katy Perry e Nicki Minaj, lo usano all’interno di un loro post su Twitter e Instagram. Questo avvenimento è accolto come la morte di Pepe. Pepe the Frog postato da Katy Perry su Twitter, 2014 Pepe the Frog postato da Nicki Minaj su Instagram, 2014. In quegli anni si ragionava in questi termini, ovvero che un meme, quando se lo prendevano i normie, cessava di esistere. Nel 2015, Seong Young Her, considerato il creatore della memetica contemporanea e fondatore della pagina The Philosopher Meme, scrisse un articolo intitolato A Short Note On the Death of Pepe. Pepe era morto per normificazione. Her non fa alcuna menzione all’Alt-Right, sebbene già esistesse, e lo fa consapevolmente. Non voleva ancora sostenere che questo meme stava venendo cooptato, perché pensava che non dando importanza al fenomeno questo avesse meno possibilità di diffusione. Her parla di Pepe come un segno grammaticale, ancora più che un meme, e ci dice che ha esaurito il suo ciclo perché è finito in mano alle star degli USA, ai normie. Contemporaneamente, mentre Pepe muore per normificazione nel mainstream, qualcuno aveva una diversa idea rispetto a Seong Young Her. Alcune persone su Internet sfruttano la morte di Pepe, rendendolo “estremo” in modo che i normie non possano più toccarlo. C’è chi lo ha sfruttato con l’idea di un’estrema provocazione nichilista, chi invece era radicalizzato e politicizzato. Questi ultimi lo hanno fatto come gesto consapevole di ri-appropriazione del vecchio simbolo di 4chan, che diventa quindi il simbolo dell’Alt-Right. La particolarità è che questo personaggio, mentre era vestito da nazista su 4chan, è utilizzato dall’allora candidato alle primarie del GOP Donald Trump nel 2015, che recupera una sua caricatura da 4chan e la posta su Twitter. Quest’azione segna improvvisamente per il mainstream la presa di consapevolezza dell’esistenza dell’Alt-Right, di Pepe e in generale dei meme. Si inizia a parlare di meme come non se n’era mai parlato: non solo come delle immagini divertenti, ma come un veicolo potenzialmente pericoloso, una forma espressiva in mano a dei giovani radicalizzati. Sono pubblicati diversi articoli di analisi semiotica dei meme, ma anche di analisi politica allarmistica. Addirittura Hillary Clinton, l’allora avversaria di Trump, parla di Pepe e dell’Alt-Right durante la sua campagna elettorale. L’Anti-Defamation League, ovvero tra le più importanti organizzazioni contro le discriminazioni per razza, genere, sesso e minoraze, parla di Pepe come simbolo di odio e hate speech — dove c’è la svastica c’è anche Pepe the Frog. Se ne parla anche nei giornali mainstream italiani: il giorno dopo l’elezione di Trump nel 2016 è pubblicato un articolo sul Corriere della Sera in cui si parla di Pepe the Frog, il meme virale che diventa simbolo d’odio e veste i panni di Donald Trump. Nel giro di pochissimi anni Pepe è diventato il simbolo dell’Alt-Right, ossia di un movimento culturale trasgressivo, estremista che fiancheggia il trumpismo. Ne è in qualche modo diventato l’ala creativa del movimento, e orienta il dibattito del Partito Repubblicano e del movimento MAGA in maniera spigolosa. In questo contesto, Matt Furie nel 2017 “uccide” Pepe con un fumetto: un’azione che ovviamente nella cultura memetica non ha alcun senso, perché Furie non è più proprietario di niente. Una volta che Pepe è diventato un meme, l’immagine non ha più un autore davvero riconosciuto. L’uccisione di Pepe è un gesto simbolico, ma anche molto patetico, esercitato in un’ottica novecentesca. Pepe è invece ancora più vivo di prima, nonostante la negazione del fumettista di sinistra. Durante il trumpismo Pepe diventa una sorta di macchina mitologica, cioè un contenitore semiotico in cui finisce un discorso esoterico che non ha fine: il vero scherzo infinito. Possiamo dire che il primo scherzo infinito “compiuto” è stato proprio Pepe the Frog. Da un lato, l’Alt-Right ha cominciato a cercare dei documenti storici reali, come ad esempio il Dio Kek — un dio egiziano simboleggiato da una rana, che è unito all’espressione “kek”, un altro modo per dire “lol” su internet, cioè per simboleggiare una risata. Quindi si trovano una serie di riferimenti storici per creare una facciata esoterica per Pepe, come se fosse stato fatale che lui arrivasse a diventare il simbolo dell’Alt-Right vincente. Praise Kek. È poi esoterismo discorsivo anche per un motivo ulteriore, ovvero che Pepe è il perfetto prank dell’Alt-Right: nel momento in cui il progressista si arrabbia con “solo una rana disegnata”, i sostenitori dell’Alt-Right possono benissimo svalutare il gioco memetico, svalutando la critica di sinistra. Il suo senso non è mai dato per sempre, è un significato memetico. Quindi l’Alt-Right può continuare ad utilizzarlo come simbolo, come mascotte. Non si può mai “significare” per sempre il senso di Pepe, perché si sta al loro gioco; ma allo stesso tempo l’Alt-Right continua a utilizzarlo in quel modo e a trarne vantaggio. Fino alla discesa del trumpismo, Pepe sembrava davvero intoccabile. Dal 2016 al 2020, Pepe non poteva essere utilizzato da altri se non dall’Alt-Right. C’è stato un movimento online della “sinistra virtuale” che cambiò il suo colore da verde a rosso per provare a riappropriarsi di Pepe in maniera significante, senza troppo successo. Oggi abbiamo la consapevolezza che nel mondo memetico nulla muore mai per davvero, e Pepe è tornato alle origini: a significare solamente uno sfigato che nella vita ha poco successo e che a volte si innamora. Un altro meme riguarda Pepe e la ENBY — sta per “persona non binaria” — che hanno entrambi l’autismo, che viene posto come una caratteristica positiva e molto dolce della loro storia d’amore. Wholesome Pepe the Frog, 2022. Insomma, Pepe è tornato a essere qualcosa di una minoranza non offensiva che lo accoglie come simbolo delle difficoltà della vita; tutto ciò era imprevedibile negli anni del trumpismo. L’ultimo argomento della discussione riguarda l’ecosistema memetico post-Pepe. L’espressione Internet is leaking, indica ogni volta che qualcosa nasce in una community online arriva nella realtà, la quale può essere intesa sia come il mainstream mediatico, sia la “realtà vera” o “IRL”, In Real Life. Esistono diversi esempi: tra i più eclantati c’è lo stragista Brenton Tarrant. Brenton Tarrant sotto processo, 2019. Siamo nel 2019, a Christchurch, in Nuova Zelanda. Tarrant ha ucciso una settantina di persone in una moschea. Come già stava diventando prassi tra gli stragisti, Tarrant pubblica un manifesto, ossia un un piccolo libro in cui torna sui topos della culture war dell’occidente. Il suo manifesto diviene estremamente contemporaneo: erano citati anche 4chan e meme, ed è poi incluso un gesto particolare, fatto con le mani. Questo gesto era il tentativo di ingegnerizzare un nuovo Pepe the Frog, nel senso del discorso esoterico: visto che la sinistra può credere che una rana sia un simbolo equivalente alla svastica, lo stragista vuole far credere che qualsiasi cosa possa diventare un simbolo di hate speech. Così l’Alt-Right, su Twitter, 4chan e Facebook ha fatto diventare questo gesto con le mani il un simbolo di White Power — inventandosi che la posizione delle mani sta a significare una “W” e una “P”. E questo è stato un prank giocato ai media liberali, che hanno cominciato a dare attenzione a questo nuovo simbolo dell’odio, nonostante sia un gesto qualsiasi fatto con le mani. Altri due esempi risalgono invece al gennaio 2021, data dell’assalto di Capitol Hill a Washington DC. È presente Jack Angeli, detto lo “sciamano”, una personalità indiretta dell’Alt-Right e di come questa destra ha cominciato a rappresentarsi quindi in maniera ironica, eccessiva, carnevalesca, quasi drag. Jack Angeli a Capitol Hill, 2021. C’è un dettaglio ancora più significativo che è la bandiera del Kekistan. Bandiera Kek a Capitol Hill, 2021. Il Kekistan è lo Stato immaginario dell’Alt-Right, con il design della bandiera che richiama una bandiera che i nazisti usano al posto di quella con la svastica, utilizzata tra di loro per riconoscersi. Il Kekistan è un’altra creatura politica inventata, che diviene simbolo ma rimane anche uno Stato fittizio. Concludo con un’ultima ricognizione di cosa è accaduto in Italia. In Italia è arrivato qualcosa di simile all’Alt-Right, con le dovute differenze. Parliamo del periodo prima delle elezioni del 2018, quelle che poi daranno vita al governo gialloverde in cui parte della “bestia” di Salvini era formata da giovani nerd, gente che appunto era terminalmente online sul 4chan originario. Durante un comizio di Salvini poco prima delle elezioni di marzo 2018 c’è un ragazzo, che poi si scoprirà essere parte della Lega, lì presente con la bandiera del Kekistan. Bandiera Kek al comizio di Salvini a Milano, 2018. È intervistato da un giornalista che riconosce quei simboli. Lui sostiene tutti i punti dell’Alt-Right, ma fa sembrare quasi che sia capitato lì per sbaglio, parlando inizialmente in inglese. Il giornalista scrive un articolo nel quale parla di come ci fossero dei nazisti trumpiani al comizio di Salvini. Subito dopo un giovane youtuber italiano, Donadel — in teoria super partes, in pratica ammanicato sia con l’Alt-Right americana sia con la Lega Nord — carica un video in cui prende in giro i giornali di sinistra che credono a ciò che chiama “scherzi politici innocenti”. Parla di come quel ragazzo fosse solo uno dei giovani che stanno su 4chan, sostenendo che il Kek è uno scherzo e non ha nessun legame politico: questi giovani non erano lì perché erano salviniani, stavano lì per trollare. Purtroppo questo è obiettivamente falso, perché quel ragazzo era chiaramente un militante della Lega Nord e quella bandiera è stata portata lì sicuramente come provocazione, ma non solo per trollare, bensì per dare un colore in più a quella manifestazione. Ultima nota di estrema attualità riguarda la presidentessa del Consiglio dei ministri. Alcune fonti online sostengono che lei avesse un reale background nerd e fosse sul primissimo Internet dei forum: di conseguenza ha scelto di cercare il sostegno politico anche dei nerd. Nel 2018 cominciano ad apparire delle caricature di Meloni-Chan da parte di disegnatrici e disegnatori senza intenti politici, anzi anche con intenti satirici. La mossa di Giorgia Meloni è far diventare la presa in giro una sua base d’appoggio, ripubblicando molti dei disegni sul suo profilo Facebook ufficiale. Meloni-Chan, 2018. Questa azione risulta simpatica per il mainstream, ma è anche e soprattutto un occhiolino a tutto il mondo nerd: Meloni ammette la consapevolezza che la stanno prendendo in giro e rigira la situazione a suo favore. Infatti va al Romics e si fa fotografare mentre cavalca un drago di Games of Thrones. Meloni al Romics, 2018. Qui comincia un suo percorso di svecchiamento e di dialogo con l’universo nerd. È una comunicazione politica che un partito di destra, fino a qualche anno fa, non avrebbe mai pensato di utilizzare.

Bio

Alessandro Lolli è nato a Roma nel 1989. È laureato in filosofia e lavora come copywriter. Suoi scritti sono apparsi su Il Tascabile, Not, Prismo, Pixarthinking, VICE, L’Indiscreto e altri. È autore del saggio “La guerra dei meme” (Effequ, 2017, 2020), coautore di “Guida all’immaginario nerd” (Odoya, 2019) e presente nella raccolta di saggi “The Game: Unplugged” (Einaudi, 2019). Si interessa della mutazione antropologica in corso, quella che passa attraverso gli schermi luminosi che portiamo in tasca e che sta ridefinendo radicalmente cosa vuol dire essere umani.
Download PDF